Come Mario Lo Tasso ha scelto la malapoesia



È una storia molto privata quella di Mario Lo Tasso che torna a Campobasso e sceglie la strada della sua malapoesia. 

Mario era un uomo che aveva molti progetti per la testa, uno di quei giovanotti che come si dice "le idee non gli mancano", e aveva scritto tanti testi, per sfondare nel mondo della letteratura; molti di questi testi, a voler dar retta ai suoi appunti di quegli anni, sono assimilabili per la più parte al genere delle prose poetiche e delle novelle di gusto retrogrado come Le novelle della Pescara di D'Annunzio di cui s'era parecchio invaghito, nonostante non fosse manco più poi così giovane. 
Nessuno, a dirla tutta, sa di preciso che cosa Mario combinasse in quegli anni: sappiamo solo che per quanto ci provasse e ci si sforzasse - la corrispondenza privata parla chiaro -, non trovò mai un editore, o un direttore di giornale disposto a pubblicargli quei fogliacci. Mi compete qui far presente che questo problema continuò a perseguitarlo per tutta la vita, non dico come accadde allo sventurato Guido Morselli, ma ci andò molto molto vicino, povero Mario. 

Si sa poco, dicevo, ma ciò che si sa per certo è che una domenica Mario va allo stadio (lo scrive lui nel suo zibaldone personale: è quella parte che senza tanti complimenti Mario appella come La svolta della mia vita artistica). 
Lo stadio strabocca di persone perché il Campobasso dopo l’arrivo di una nuova ruspante dirigenza sta richiamando molta gente e la tifoseria dopo qualche pareggio s’è immediatamente infiammata di passione. 
Che fai Mario sto pomeriggio... che non fai... che fai non vieni... eddai eddai; alla fine pure Mario che di calcio ne mastica poco va allo stadio tirato come un cavallo dagli amici.
Qua allo stadio, seduto anzi all’impiedi nella curva, Mario sente a poco a poco come sgretolarsi tutto; sente tante voci, cori, gente che parla, insulta, carica col fiato una partita molto noiosa. Mario è straniato e quasi in uno stato di sgretolamento interiore. Mentre la palla vola veloce di piede in piede e delle volte se ne esce fuori calciata troppo forte, Mario la segue nei suoi voli fuori campo e se ne esce col pensiero calciato troppo forte pure lui e arriva alla grande soluzione metrica della sua vita. Ora, scrive Mario, se io volessi diventare un nuovo Joyce, un nuovo Gadda, un nuovo Dante, eccomi signori, eccomi qua, non avrei che da mettere assieme tutte queste voci, e diventare un eroe babelico. E fare le scintille. Piacerei da matti a quei tre quattro gatti di professoroni. Qui in questa curva, davanti a questi colori, potrei passare io dalla parte del caos, ingoiato totalmente dalla vita che mi circonda e perso nella ballata dei suoni. È un’idea valida, e romantica.  Ma che fatica sarebbe. Il signore col berretto ha una parlata che viene da un vecchio casolare, si capisce che c’è antico e freddo, eppoi dalle nonne bugiarde, dalla moglie raccattata oltre l'ultimo salto di fosso, dal nuovo bar di fronte allo stadio, dal figlio geometra, dal pianeta delle nuove schedine… dal totocalcio. Se lo inseguo per questa pista, non lo troverò mai più. Mi sfuggirà sempre. E se pure pure lo riuscissi a fermare... a trovare... che ne rimarrebbe: una frase? una parola? Due occhi piantati addosso. 
No questa non è la mia strada, troppa fatica. Troppa utilità. Troppo sport. Io sono più leggero. Io sono come una bicicletta. 
La mia strada è la poesia. Dire solo poche cose. Quelle proprio che non si può fare a meno. Scansare via a poco a poco tutto il mondo e limare lucidare limare. Rimanere a un punto che rimaniamo senza mondo. Isolare, e togliere, e rimanere senza, scartare tutto.
Recupererò l’endecasillabo. Il settenario. La canzone. Conterò mille volte le sillabe e ripasserò tutti i poemi amati. La mia strada non è dir tutto, ma dire poco, quasi niente. E portarmi all’esaurimento di tutte le cose.
Questo posto, questo stadio maramaldo, fa per me oggi, perché non ho voglia di dire niente in un posto dove tutti sembrano voler  dire tutto, e molto, e sempre all’infinito. Se resto qua è perché mi va una volta tanto di resistere all’incontinenza. Resisterò.
Resisterò?


Resistette. E queste parole, messe in corsivo perché direttamente contenute nei taccuini zibaldonici privati di Mario, segnano la nascita di un poeta che fino ad allora aveva placidamente taciuto nelle membra di un uomo prosaico, sebbene ispirato. Signori cari: È nato Mario Lo Tasso! È nata la sua mala poesia (poi divenuta addirittura sacra)! 
E scusate se è poco.

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