Lo scrittore Brigante



C'era uno scrittore che abitava a Penne, era uno molto dilettante a scrivere ma talmente dilettante, diceva, che erano anni che si dilettava a scrivere, quasi dieci, forse di più, non si ricordava più. Scriveva di continuo ma solo per piacere di segnarsi delle fantasie che gli venivano ingenuisticamente in testa e per lui questa maniera era un modo per tenersi compagnia, magari le sere che non c'aveva niente da fare ed era tornato troppo presto a casa. Se c'aveva da fare, scriveva solo a mente; poi non si ricordava niente, e forse per questo si inventava sempre delle cose nuove e non riusciva a stare troppo tempo su un solo spartito
Si divertiva pure a fare gli stornelli e le tammurriate e le saltarelle e andarli a cantare nelle feste estive popolari che numericamente parlando in Abruzzo ce ne stanno tante. Qua si intratteneva a fare delle tenzoni assieme ad altri con quella passione addosso che si incontravano per strada, facendo le ore molto piccole, cantando a finegola.
Gli garbava molto anche la canzone dei briganti che va contro il Piemonte invasore ma lui non ce l'aveva né col Piemonte ché non c'era mai stato e magari gli sarebbe piaciuto, né coi piemontesi che non li conosceva ma il Torino come squadra gli scaldava bastevolmente il cuore a vederlo giocare, pure in televisione (in campionato, Coppa Italia).
Comunque, ogni tanto, nelle feste, cantava la canzone del brigante, col microfono, se glielo davano quelli dei gruppi. Veniva fuori un canto tanto dolce e melodioso, dicono, che non sembrava più una canzone contro nessuno, sembrava una canzone e basta, una "canzone di conoscenza" diceva lui colla sua voce magra. 
Per questo motivo, chi gli era più vicino e famigliare lo chiamava Brigante, invece di Antonio. Brigante come soprannome, pure perché ce l'aveva a morte cogli editori e il sistema editoriale, e scriveva come un brigante nel panorama italico, cioè scriveva dalla periferia cercando di non essere oppresso dal centro editoriale che secondo lui stava uccidendo la letteratura. Se gli si chiedeva perché non spediva mai nessun manoscritto alle case editrici, ti diceva che non voleva scrivere sotto un editore, che lui il lavoro già ce l'aveva, faceva l'elettricista quando gli andava, voleva esse' libero e non c'aveva nessuna intenzione di scrivere per quel sistema che devi scrivere come vogliono gli editori che vogliono che scrivi come gli piace ai lettori e come scrivono gli altri scrittori dentro le collane già affermate (affannate?) degli editori...  
Ciò non vuol dire che non aveva mai pubblicato. Pubblicava da una stamperia privata dell'hinterland pescarese che gli faceva un prezzo buono, e poi quando stava di vena vendeva le sue pubblicazioni narrative nelle feste, nei parchi, nelle palestre, nei supermercati, nelle piazze; c'aveva anche un libraio particolare, un tabaccaio, che vendeva le sigarette, i grattaevinci, le schedine, le caramelle, le gomme americane e le pubblicazioni di Brigante (che manco Brigante si ricordava più quanta roba aveva pubblicato, forse cento tra romanzi e racconti e novelle leggere). Ste pubblicazioni costavano più o meno come un pacchetto di sigarette, e la gente le prendeva e lasciava pagato un pacchetto o più per il Brigante.  
Artù (Arturo, il tabaccaio), ci sta un pacchettino per me oggi? gli chiedeva Brigante la mattina. 
Sì, oggi sì, Briga'... oggi t'è andata alla grande... c'hai 'na stecca!
Ecche è? Ho sbancato Artù? 
Hai sbancato... so' venuti da fuori a comprarti le sigarette...
Che fa ieri sera so' andato da Fazio e non me ne so' manco accorto?

Altre volte invece non c'era niente... 
Manco oggi niente, Briga', mi dispiace... n'è venuto nessuno sti giorni... mi sa che m'attocca a offrirtela io 'na sigaretta.... toh va... fumiamoci sopra a le disgrazie nostre... 

E via discorrendo passava la vita di Brigante. 


Brigante era uno scrittore molto prolifico, come si sarà capito. Non c'aveva mai il blocco dello scrittore. Filava sopra le pagine come una macchina per cucire Singer. Cazzo me ne frega... diceva... che io non ce l'ho i piantoni qua fuori... ho fatto tanto pe' non andà in galera... mo' mi metto a lavora' pe' l'editore? io so' uno libero. Non me ne frega niente manco delle sigarette. Se fumo fumo, sennò non fumo. 
Abitava ancora colla mamma quando lo conobbi, poi gli morette; c'aveva la casa talmente piena di pagine, fogli, manoscritti, scritte sui muri, filoni narrativi nuovissimi aperti dappertutto ecc, che se gli chiedevi qualcosa ti diceva che lui non si smagava manco un po', ché aveva cominciato a scrivere tanti di quei racconti e raccontini, novelle e novelline, romanzi e romanzini che se c'aveva voglia poteva scrive per 'n altri trent'anni buoni, pure di più... La vecchiaia non mi fa paura per niente. Veramente. Era un pozzo senza fondo. 

Gli avevo chiesto tempo fa di entrare nella mia palestra, gli avevo presentato lo zio scrittore, Matteo Lo Tasso e gli altri; ma egli è troppo preso dalle sue cose, dai suoi stati briganteschi e ha (molto elegantemente) declinato l'invito. 
Ci sentiamo comunque ogni tanto per telefono. Si può dire che, letterariamente parlando, gli faccio proprio il filo. Gli è che mi ha raccontato che sta scrivendo qualcosa sul periodo che andò a fare il servizio militare a Foggia... è l'unica volta che è andato fuori regione. Dice che giro qualche settimana è pronto. 
Mi sa che tra un po' m'attocca fa' 'na capatina da Arturo, a Penne...  

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