Una visita



A Natale vado sempre a trovare Annamaria... e non la trovo mai. Annamaria abita dentro un gomitolo di imbocchi autostradali, rampe a strozzo, rotatorie, passaggi a livello, caselli, per via del fatto che fu l'unica una quindicina di anni fa a non volerne sapere di vendere la sua casa e i suoi pochi ettari di terra alla società dell'autostrada che voleva potenziare lo snodo di quella zona; e ora abita dove abita, lì in tutto quell'imbroglio. I casieri attorno non persero l'occasione di vendere le loro casupole a peso d'oro e fecero fagotto in men che non si dica, scendendosene di buona lena al mare e lasciandosi (finalmente!) alle spalle quella ormai insopportabile spianata di fatiche. 
Annamaria, al pari di certe famiglie palestinesi che a Gerusalemme sono disposte a morir di fame piuttosto che accettare di vendere la loro terra agli ebrei che pure gli offrono cifre da capogiro, decise che da lì non si sarebbe spostata né mò né mai (potevano offrire pure un miliardo!), e che non era poi un gran problema vivere assediata dalle giravolte dell'asfalto, non riuscire a sentire più quello che le diceva il marito per il troppo rumore ed essere costretti a parcheggiare sotto un cavalcavia distante da casa un centinaio di metri (giacché dal varo della nuova autostrada che gli fece letteralmente terra bruciata attorno non ebbero manco più un'entrata propria e dovettero iniziare a scavalcare il guardrail o come si chiamano per entrare o uscire dalla loro casa).


Vabbè, io sono uno che si adegua. Parcheggiare sotto il cavalcavia e scavallare il guardrail d'altronde non mi costa niente e vado a trovare questa famiglia a conduzione matriarcale. Il marito di Annamaria lavorava come autista di camion; Annamaria non so se ha mai lavorato, penso di no, qualcuno maligna che prende da più di vent'anni la pensione da matta. Ma sono voci. 
I figli non sono proprio con tutti i mercoledì al loro posto, però a me che ci ho giocato tante volte a calcio da giovane e che ogni tanto mi capita di parlarci ancora adesso, non mi sembra che le cose stiano proprio così: sono solo un po' campesini, ma finisce là. Per altro, se a quelli mancano dei mercoledì, non è detto che a me e a voi non manchino delle settimane intere, perciò c'è poco da ridere.
Ci sono comunque delle belle storie sui figli di Annamaria, e particolarmente me n'è sempre piaciuta una, quella del suo primogenito, Walter, la quale storia parla di quando questi andò ad una festa di paese, correvano i cavalli, vide una bella ragazza che sgambettava da tutte le parti con una gonnellina saltellante e una fregola addosso; le fu subito vicino, proprio come da qua a là... non era mai stato a parlare con una ragazza, e nella sua testa cominciò credo a ragionar d'amore per la prima volta in vita sua... chissà come ragionava! quando le fu ormai vicino all'orecchio, con tutta la calca attorno, i cavalli che correvano, gli strilli, le disse paro paro piano piano tu mi garbi. Qua mia madre che a raccontare questa storia si celava dal ridere non mi ha mai fatto capire per filo e per segno che fine facevano questi due. Fatto sta che qualche tempo dopo, codesto figliolo maggiore si ripresentò a casa accompagnato da una bella ragazza pregna di qualche mese e poi si presero, con lo sposalino e tutto. Dal che pensai che c'è gente talmente svelta che fa un ragionamento d'amore, un figlio e uno sposalino... tutto insieme praticamente, risparmiando un sacco di soldi e tempo. Chiamali scemi.


Ad ogni modo, e tornando alla visita in corso o quasi, posso dire che rispettando le nostre belle tradizioni (!), reco tra le braccia una confezione di leccornie natalizie tra cui gl'immancabili pacchi di zucchero e caffè, sono uno antico. Mi sottrae alla foga dei cani il marito di Annamaria che non ho detto è vagamente somigliante alla Magnani (Annamaria, no il marito). Il marito ex autista si chiama Enrico, che è un bel nome secondo me, ma non s'assomiglia a nessuno. S'assomiglia da solo. 

Mi comunica immediato che Annamaria, la front-woman della famiglia, non c'è, è andata dal figlio... non so quale e non chiedo (ne hanno cinque o sei e non so chi abita ancora lì con loro, chi se n'è andato al mare ecc). 
Però vedete... mi si dice che sono scrittore d'assenze, ma che volete se la vita stessa mi nega le sue apparenze. Io ci provo, ma Annamaria non c'è. E dire che ero venuto solo per lei. 
La casa però sta tutta scombinata, segno che è uscita (se è uscita veramente!) da poco. C'è una selva di piatti, pentole, tazze, mestoli, forchettame... tutta da lavare. E qua devo riconoscere il mio rammarico. Uno dei motivi per cui vado pazzo di quella donna gli è che era una donna "che buttava i piatti dalla finestra". Anche io amo buttare le cose dalla finestra (principalmente i soldi). E' un esercizio che amo fare con un amore sviscerato di tutta la persona. Ma è il buttare in sé e per sé la mia passione... posso farci ben poco. Butterei pure il mondo. Appena vedo una cosa poco poco rovinata, una pentola rigata, son fissato, un piatto scalfito, via, butto tutto. Annamaria come me. Anzi peggio. Quando s'accasò da Enrico (colla mamma di Enrico vivente), trovò una grande quantità di servizi di piatti nelle credenze. Nelle famiglie contadine ho notato che i servizi buoni non si toccano, sono tabù, vanno lasciati intatti per le future generazioni (chissà quali? poi con l'avvento dell'Ikea), la dote delle fanciulle.... l'arredo delle case nuove. 
Ma il guaio è che i campagnoli non si limitano a lasciare ammuffire i servizi buoni, pretendono che prendano la muffa pure quelli mediani. E così si finisce per mangiare sempre dentro le solite incresciose tazzarelle. 
Con l'arrivo di Annamaria le cose cambiarono completamente: non solo questa donna toccava servizi buoni e servizi meno buoni, ma se le ripassavano i suoi momenti bui (e le ripassavano spesso), era capace che per non stare un'ora sacrificata a pulire i piatti in cucina, li buttava belli sporchi com'erano dalla finestra, fracassandoli direttamente sotto o lanciandoli come al tiro al piattello giù nel piccolo fosso al di qua del famoso cavalcavia (dio c'è), che ancora oggi, passandoci con la macchina per prendere l'autostrada, in un giorno di sole, quel fosso manda dei balenii e dei riflessi come uno specchio d'acqua... sono i piatti di Annamaria. 
Erano bei momenti quelli, quando Annamaria lanciava i piatti... momenti strepitosi. Non tutti però erano in grado di capirli e così spesso davanti a quegli "sfreggi" come si diceva, la mamma di Enrico correva tutta singhiozzi e rigurgiti nella sua stanza... e non usciva per giorni. 


Io non sono tipo da visite, quando a casa vien qualcuno, evado o mi tappo in camera, mi chiudo in bagno... non apro, non rispondo. Scappo. Così facendo negli anni mi sono alienato molte amicizie ma almeno a Natale sto tranquillo. Mentre parlo con Enrico, Annamaria assente, mi chiedo allora che ci faccio lì a fare una visita in quella casa, l'unica visita che recherò a qualcuno per Natale (manca tanto poco).... Ci faccio che un po', della signora Annamaria, che mi torna pure mezzaparente, un po' sono sempre stato innamorato... mannò innamorato veramente come gli innamorati veri dei cioccolatini, innamorato come da primo pervertimento amorevole. Fu che io che ero poco più che un tredicenne puro e leggero, ed Annamaria che allora iniziava ad involarsi verso l'abbandono fisico ma che era ancora una donna assai piacente, una bella donna oserei dire, ci toccammo... Quella volta, in uno strano momento di solitudine tra me e lei, io seduto al tavolo che fremevo per scappare sotto, lei che giocava con le briciole del pane e mi tratteneva con ogni scusa, mi prese all'improvviso le mani tra le sue e con un movimento lentissimo se le portò al petto, sorridendo con occhi di fuoco e malizia (o così mi parvero)... io senza sapere che fare feci un po' forza verso di lei e colmai... Non portava il reggiseno e mi diede una sensazione di calore e pienezza, mi sembrò quasi di toccarle la nuda pelle... Poi si staccò, mi disse di andare, ché ero uno sporcaccione (rideva), vai a giocare a pallone con Walter, il primogenito, e sempre vicino al pericolosissimo cavalcavia. Io sarei voluto anche andare alla svelta, senza farmi più vedere per sempre, ma mi tremavano le gambe che mi avevano fatto le formiche e non riuscivo a muovermi - mi ripresi dopo molto e quando andai a giocare con Walter, nonostante io fossi sempre stato e son rimasto un vero boccalone, non dissi niente né a lui né a nessun altro dopo e mi spuntò questa specie di durevole pudore, incomprensibile se si vuole, visto che non mi fu chiaro allora, e non mi è chiaro nemmeno adesso, come dovessi giudicare quella strana bolla di solitudine che era scoppiata tra me ed Annamaria. 
Non mancarono negli anni avvenire altri veloci abboccamenti, ma io ero più smaliziato ormai, ella più spinta e disperata; col tempo quelle malizie presero la forma e le sembianze di un gioco un po' manesco tra una donna annoiata e un ragazzo pieno di incertezze e foghe di stagione. Oramai, passato il tempo, i nostri rapporti non sono diventati nient'altro che un dispetto, io che la vado a trovare, lei che non si fa trovare (forse chissà perché l'è venuta adesso la vergogna che io provai allora). 
Però a me ogni anno, a Natale, vien voglia di rivisitare quell'antica casa (che disperai di perdere per colpa dell'autostrada), e quegli strani ricordi da commediola all'italiana. O forse chissà, sotto sotto, vorrei solo riprovare l'ebrezza di quel tocco di tanti anni fa ripetuto adesso, io trentenne, lei più che sfiorita, e chiudere finalmente quel vano cerchio di desiderio aperto tanti anni prima e che lei, forse avvertendo al pari mio tale finora inconfessabile brama, pretende svilire (o rinforzare), negandosi ogni anno di più. 

E così non resta che fare qualche chiacchiera con Enrico, irritato per la mia presenza e per i piatti sporchi, che so che stava pulendo lui, e tirar fuori i soliti ricordi condivisi, fare le facce dell'ospite, parlare dei loro nipotini...
Insomma, riproverò ancora l'anno prossimo a non aver più motivi per andare a trovare la bella Annamaria dei miei dolci ricordi.

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