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Un dio del nostro tempo




Un emigrato dagli anni ottanta


Leggiamo spesso sui libri o sentiamo in giro, foss'anche nella tv deteriore, di giovani promesse calcistiche che alla vigilia di un grande provino con la Juventus o l'Inter o il Milan si rompono le ginocchia in una partitella stupida e perdono il loro treno verso la gloria, la felicità, la vita vera. 
Si parla di fatalità in questi casi. Non si sa mai che cosa pensare.

Io vorrei parlare invece di Paco, venuto negli anni ottanta in Italia dal Sud America ma da genitori italiani, trasferitosi in un piccolo paese della provincia eterna, che trova lavoro in una sartoria.
Paco negli anni si trova bene con la gente del posto, ne impara la lingua meglio di un indigeno - parla dialetto senza nessun errore. 
Ben presto, assolte le prime faticose incombenze dell'integrazione, si mette la sciarpetta al collo e corre allo stadio, visto che cultura in paese non c'è, ma c'è una grande passione per il calcio e i vestiti costosi, e lui può permettersi solo la prima. 

Capisce che il cuore della gente è al bar e allo stadio (il massimo: al bar dello stadio) e ci si butta come nessun altro prima di lui, specie tra gli emigrati. 

Paco soffre tutte le stagioni, tifa, non si perde una trasferta, si sgola e piange. È il più fedele degli ultras. Paco è l'ultrà. 
Dopo la diffidenza iniziale contro l'emigrante, il paese lo prende a simpatia e lo adotta come un figlio.


Mai infortunarsi

Arriviamo a qualche anno fa, ora non importa di preciso quale, forse mai. 
Ad ottobre, gli viene diagnosticato un problema assai serio ad un piede. Paco ha sempre camminato maluccio ma adesso si trascina. Cammina alla bell'e meglio, provando a far finta di non avere niente che non vada. La sua giocoleria ne rimane assai scossa. 
Il medico, che lo conosce, gli si raccomanda: deve operarsi. Grazie a delle buone amicizie gli trova un pertugio per una buona clinica umbra, di quelle specializzate per i piedi, come fosse un calciatore che si deve operare al menisco. 
All'inizio Paco non ne vuole sapere - io non mi opero, dice... ma che mi opero affare... lascia perdere cabron -; intanto i mesi passano. Il medico  e la famiglia - una bella figliola mora cogli occhi azzurri, la carnagione estiva, la simpatia del padre... la moglie non c'è più, Paco ha divorziato - si impuntano. Lui che già da qui dimostra di essere un eroe dei nostri tempi, coi dolori e la fatica che prova, resiste ancora un po'. Poi, sfinito, più dalle parole, dagli atteggiamenti, l'ostracismo... alla fine accetta. L'operazione al piede non sarà una passeggiata, né durante l'intervento né dopo: si prevedono ore sotto i ferri, gesso, immobilità... si parla di mesi. 
E si parla che il primo letto là in Umbria, per colpa del tira e molla per farsi convincere, è fine aprile-maggio. Paco, coccolato come non era mai stato, fa di sì con la testa. Povero Paco. Ci fa pena a vederlo. Al bar viene però tutti i giorni. Lecito o di nascosto, non lo sappiamo. Ma viene.



Play-off a risalire... play-out a riscendere

La sua squadra del cuore intanto in campionato, superato elegantemente un inizio disastroso come tutti gli anni, sfreccia. Dopo la grande vittoria in trasferta nelle Marche e quella a Brindisi, siamo a fine marzo, praticamente i commentatori dicono che ha i play-off in tasca. Pure la classifica e il calendario confortano squadra e tifosi. Come minimo facciamo i play-off dice l'allenatore quando sta tra i confidenti e i tifosi estremi, quelli pagati dalla società, lontano dai microfoni. Davanti ai microfoni, lo sapete, il mister s'abbottona. Parla di salvezza... dei 42 punti... poi si vedrà. 
Paco sa che cosa significano i play-off, gli spareggi per risalire in serie AB come diceva lo storico presidente del Campobasso Di Stefano; ma sa pure che cosa sono l'umiliazione dei play-out per non riscendere e soprattutto sa che cosa significa doversi operare ai primi di maggio. Addio tutto. Non potrà seguire nessuna partita, nemmeno in tv, perché nessuna televisione pubblica o privata segue quella squadra e quegli eventi minori lì (serie C... CD). 

Arriviamo, cari lettori, al momento decisivo. Fate attenzione. 
Fate attenzione perché quella mattina Paco fa uno di quei numeri che ci fai con Leonello Messi... E' mattina presto. Arrivo con un po' d'anticipo al casello dell'autostrada dove ho un appuntamento. Mi resta il tempo di fare colazione al bar che gli sta davanti. Entro dentro col passo della gran carriera... giro l'angolo, trovo Paco seduto, colla gamba distesa come una divinità potenziale, mentre davanti a lui sul bancone parlano un signore distinto (scopriremo in seguito essere il fidanzato della bella figlia, ovvero il medico di cui sopra) e la figlia stessa. Tutti in partenza, mi dicono, per l'Umbria. Vedo la Bmw fuori lucidata come uscita dalla concessionaria. Paco mi guarda con una faccia da bastonato cronico. E' lunedì, per giunta: ieri la squadra è andata a mettere sotto il sette due noci di cocco all'Ascoli. E' venuto giù lo stadio. Alle sette del mattino, non si trova più il giornale locale. Pure il bar dove facciamo colazione non ha nulla da farci leggere, se non qualche gazzettino immobiliare. Alle dieci sono finiti pure i quotidiani regionali e nazionali. E' un miracolo. Scoppiamo di punti ma non abbiamo più carta stampata. 
Saluto, ciao ciao, buon viaggio... dai Paco, non mollare mai. Scappo via. 



Chi scappa veramente

Sul punto di partire per l'Umbria, con la macchina accesa, un piede dentro, l'altro mezzo trascinato e dolente ancora fuori, Paco si tira indietro. Ha deciso: tra la salute e i play-off... va per i play-off! Hai voglia a farlo ragionare la figlia e il fidanzato. Quando si parla di pallone, alcuni eroi come Paco, è come se si parlasse, con rispetto parlando, di fica o di carte, non capiscono più un'acca.
In provincia oramai, non si parlava d'altro che del suo gran rifiuto all'operazione. Mancava solo che qualcuno chiedesse a Paco l'autografo. Un uomo che mette a repentaglio la propria libera deambulazione per quattro calci ad un pallone, dato da altri, da mercenari, dicevano i malparlieri di paese e di cantiere... quello è matto, quello è scemo. Era tutto un rincorrersi d'opinioni. Finché un giorno, fu assurdo, ma un personaggio scamiciato e rissoso di mia conoscenza, di nome Mario, durante una partita a biliardo, nel mio bar preferito, a sentir dire la solita storia di quanto fosse scemo Paco, bum, butta la stecca lunga lunga sul tavolo, a partita in corsa, che stava per tirare, e butta una madonna contro i ciarlatori e gli dice che hanno rotto il cazzo. Poi, superando in grandezza qualsiasi scrittore contemporaneo, gli fa "se Paco non si opera per andare a vedere la squadra è perché Paco è un eroe del nostro tempo! e se la squadra perde in finale, Paco è un DIO del nostro tempo!... ma voi... voi... voi non siete un cazzo né se vince né se perde". Applausi dal pubblico non pagante - io sempre spettatore imparziale di garbo. Cronista.
E nel frattempo penso: bisognerà farne un articolo, poi un saggio, il libro... il film... poi a bocce ferme la fiction su rai1, no... su rai1 no... su sky. Una serie televisiva. Va da sé che l'eroismo sale, ha ragione Mario, se la squadra perde in finale i play off.
Oppure la squadra deve vincere per i palati televisivi più fini: se la squadra vincesse, sarebbe l'estremo atto di generosità che il grande Paco compie per la maglia, infischiandosene che la sua gloria personale ne verrebbe drasticamente diminuita (l'eroe che vince non tira più). Diventerebbe un dio, dei nostri tempi.



Finale

Non vi sto a dire se la squadra vinse in finale né se perse (vinse ad ogni modo); ciò che conta è che il regista indipendente tedesco Burner con la sua casa di produzione Nein++ ha deciso di fare una serie a puntate sul mondo del calcio italiano, raccontando amore, corruzione, scandali e tacchetti nostrani legati al calcio giocato e da giocare (anche lui ama le storie potenziali); gli episodi saranno cinque, due su una storia nordista (di cui una zoppica forte), una su una centrista e due sudiste: Paco sarà il protagonista della storia centrista - zoppica forte ormai pure lui. 
La troupe è arrivata qualche giorno fa in paese, assieme alle giostre per la festa del padrono. Paco mi ha presentato a Burner che ha detto che la sceneggiatura su Paco che abbiamo scritto io e Paco stesso fa cacare. Non gli piace per niente il finale. Da quel poco che capisco, la serie è pensata per il Sud Italia, dove interesserebbe di più. Al nord pare che nessuno ama storie del genere, ma mica è vero. 
Paco farà Paco. S'era pensato a Belen nei costumi della figlia ma costava troppo e ha già fatto Montalbano. Perciò sarà proprio la figlia a fare la figlia. Il medico però l'hanno tagliato e nella vita reale si sono pure lasciati. Mi guarda dolce la mattina (la figlia di Paco dico, no il medico).
Burner sui play-off non ne ha voluto proprio sapere niente. Essendo un uomo televisivo si è impuntato con la produzione e ha voluto cambiare il nostro finale. Perciò i buoni devono perdere i play-off. E Paco resta cornuto e mazziato, ché non si è andato a operare ma non s'è manco potuto godere la promozione. 
Invece nella realtà della vita e nella realistica sceneggiatura bocciataci, Paco ha dimostrato di essere molto più eroico degli eroi perdenti, accettando con gioia la vittoria della squadra che ne ha diminuito il tasso di successo suo.
Quello che si dice un dio del nostro tempo (tale era il titolo, ora ridimensionato in Paco non si opera più - e c'è da ridere a pensare che l'operazione, fissata per questo maggio qua, è stata rimandata pure questa, ché sennò chi la faceva la parte di Paco?... Il titolo è proprio il più azzeccato, c'è da dire).

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